Sono convinto che ci sia un errore di fondo nella lotta ai fascismi. Noto, infatti, che ci si muove sempre dentro una logica che fa riferimento agli Stati nazionali i cui interessi vanno anteposti a tutti gli altri, in una sorta di corporativismo mascherato, che nella sua forma più estrema assume i contorni dello Stato etico.
Dall’altro lato sembrano esserci i sostenitori delle realtà transnazionali proprie delle logiche globaliste.
Siamo, invece, di fronte ad una falsa contrapposizione in quanto ambedue le posizioni saltano a piè pari l’unica contrapposizione in grado di ridare alla politica la sua autonomia nei confronti dei potentati economico-finanziari: quella tra i diritti dei lavoratori sanciti dalle Costituzioni democratiche e una parossistica tensione al profitto dei detentori della ricchezza.
Lo Stato si riapproprierebbe, in questo modo, della sua funzione di regolatore del mercato, in un momento storico in cui questa affermazione sembra quasi essere una bestemmia, ristabilendo il principio della equa redistribuzione della ricchezza e dei diritti dei lavoratori che, in tempi di conclamato iperliberismo, sono stati svenduti da tutti gli schieramenti politici, che hanno finito col concordare sul principio del There Is No Alternative, col quale i cosiddetti poteri forti hanno praticamente fatto accettare come ineluttabile la deriva antidemocratica propria dei nostri tempi. A questo proposito sono emblematici i contorsionismi linguistici inventati dalla politica per giustificare tale deriva con la coniazione di espressioni quali “democrazie illiberali” e neologismi come “democrature”, veri e propri ossimori.
Stiamo così scivolando, in maniera tutt’altro che indolore, verso forme stabili di disuguaglianza economico-sociale, impossibili da combattere fintantoché le istanze di giustizia sociale non troveranno una rappresentanza in grado di coagulare tutte quelle forze che, storicamente, si sono ritrovate nella lotta per l’emancipazione della classe dei lavoratori, non per combattere tout court il libero mercato, ma solo quelle forme che hanno condotto ad una progressiva pauperizzazione dei ceti medi e di quelli meno abbienti, per restituire dignità alla persona umana.