Basta la terza media (ed un buon insegnante di storia)! Non è necessaria una laurea in scienze politiche ed economiche per capire a cosa si deve questo ritorno di fiamma per un’economia di guerra. Partendo dalla premessa che è in atto una crisi del sistema capitalista, alcuni studiosi ne hanno preconizzato l’imminente fine mentre altri, più realisti, puntando sulle capacità camaleontiche del capitalismo, hanno scommesso sul fatto che, ancora una volta, il sistema avrebbe trovato una qualche via d’uscita, come accaduto nel ‘29 con il piano di riforme economiche e sociali promosso dal presidente americano Roosevelt. Ma a differenza del New Deal, il neoliberismo, a partire dalla seconda metà del Novecento, grazie alle politiche economiche inaugurate da R. Reagan e M. Thatcher, ha puntato tutto sulla deregulation, ovvero su una politica che ha abdicato alla sua tradizionale funzione, caratteristica delle democrazie occidentali, di regolatrice del mercato, accettando di fatto la sua subordinazione ai potentati economico-finanziari. Un esempio di questa subordinazione lo troviamo nella crisi dei subprime del 2008, quando i cittadini hanno dovuto pagare le conseguenze di condotte a dir poco scorrette che hanno creato una bolla immobiliare di una gravità superiore alla crisi del ’29. Ma per capire cosa sta accadendo sulle nostre teste va evidenziato, preliminarmente, che la non conoscenza della storia ha enormi conseguenze nella valutazione degli accadimenti umani. Si è solitamente portati alle semplificazioni nel tentativo di capire eventi che richiedono l’uso di categorie storiche di non facile approccio. Compito di onesti intellettuali e giornalisti dovrebbe essere proprio quello di avvicinare le persone comuni, non in possesso di determinate competenze, alla complessità delle questioni oggetto di interesse di tutti. C’è da dire che purtroppo questo tipo di onestà è diventata merce rara in questi nostri tempi. Infatti, sempre più spesso si approfitta di questa ignoranza per indurre i cittadini ad accettare acriticamente le scelte della politica, sottraendole al dibattito pubblico. Perché, dunque, la storia? Perché attraverso il suo studio apprenderemmo che, da sempre, il potere adotta le medesime strategie per indirizzare i comportamenti umani. In particolare la creazione di situazioni emergenziali si è rivelata uno strumento di grande efficacia nel creare assoggettamento e accettazione della volontà dei decisori politici. La guerra, nel senso dell’individuazione di un nemico comune da combattere, ha rappresentato, in questo senso, nel corso dei millenni, uno degli strumenti più potenti, essendo essa collegata alla paura, l’emozione primaria che si attiva in risposta ad una minaccia, reale o soltanto percepita.
Non sempre è necessario che il nemico sia un popolo o un altro essere umano. Ad esempio una situazione emergenziale, a noi molto vicina nel tempo, è stata la pandemia. In questo caso il nemico era un virus contro cui bisognava fare fronte comune per sconfiggerlo. Era una guerra, o almeno così faceva comodo rappresentarla, e questo bastava per giustificare la sospensione di alcuni diritti considerati inalienabili, quali la libertà di movimento e di critica. Infatti chiunque accennasse a mettere in discussione le scelte dei governi veniva considerato un nemico, proprio come accade nelle guerre combattute sui campi di battaglia. Era questo un evento che, senza ricorrere a teorie complottiste, di sicuro forniva una ghiotta occasione per distrarre per un po’ dalle difficoltà del sistema, dando l’illusione che potesse nascere dalle ceneri della pandemia un’Europa nuova. Attenzione! Non si sta affermando che la pandemia è stata creata ad arte, si sta solo affermando che la sacrosanta paura è stata cavalcata per fini non esattamente corrispondenti alla volontà di salvaguardare la salute dei cittadini. A conferma di ciò è sufficiente osservare come le cause e concause dell’esplosione della pandemia, come ad esempio un sistema sanitario sempre più vicino al collasso, non siano state successivamente oggetto di attenzione da parte della politica. Passata la tempesta, infatti, si è tornati alle politiche austeritarie che i paesi virtuosi non hanno mai abbandonato, riproponendosi di tornarvi non appena possibile. Ed infatti così è stato. Ma era troppo poco per un sistema capitalista ormai lanciato verso una deriva anarco-capitalista, di cui Milei, con la sua motosega, è il modello indiscusso. Ci voleva qualcosa di più forte, qualcosa di superalcolico. Dopo l’emergenza pandemia come manna dal cielo è arrivata l’invasione russa dell’Ucraina, artatamente preparata dall’Occidente e dal suo padrone: gli Stati Uniti. Come lasciarsi scappare un’occasione simile. Infatti, quando si è presentata la possibilità di chiudere la guerra, immediatamente sono entrati a gamba tesa USA e UK a bloccare qualunque tentativo di porre fine al conflitto. E chissenefrega se mandiamo a morire migliaia di giovani che, Scurati non me ne voglia, avrebbero preferito una vita normale alla follia della guerra.
Ma l’aspetto più interessante per le élite economico-finanziarie era legato alla possibilità che offriva questa ennesima emergenza di convertire la produzione di automobili, in crisi, nella produzione di armi. Altro che mascherine! Ma per poter fare accettare ai cittadini un’economia di guerra era necessario ammantarla di sacri valori quali la libertà e la sicurezza messe a repentaglio dalla ferocia di un nemico che però non pare molto interessato a fare guerra all’Europa.
Per meglio capire ciò di cui si sta parlando valga la notizia che la tedesca Rheinmetall, numero uno per gli armamenti terrestri ha visto salire le sue azioni dagli 80 euro di prima della guerra a 1.342 euro. Ma v’è di più: non solo il valore di Borsa della Rheinmetall ha superato le grandi case automobilistiche tedesche ma pare che l’azienda abbia in programma l’acquisto di uno degli stabilimenti della Volkswagen.
E, intanto, qualche triste scrittore sta lì a cercare (nel vuoto creato da un sistema che si è adoperato per decenni per fare dei giovani dei perfetti consumatori, anziché pensarli cittadini) guerrieri che dovrebbero andare a combattere per rimpinguare le casse dei padroni della guerra, senza pensare che, davvero, potrebbe essere l’ultima. Una guerra voluta da un’accolita di guerrafondai facenti parte di un’istituzione, l’Unione europea, della quale tutto si può dire eccetto che sia democratica. Ma questi sono dettagli quando chi combatte lo fa in nome del Bene!
Ma, prima di concludere questo mio intervento, a proposito di guerrieri non posso fare a meno di segnalare quanto affermato dal generale Fabio Mini nel marzo di tre anni fa in un’intervista rilasciata su Tiscali Notizie. Con l’onestà intellettuale che lo contraddistingue il generale disse: “Io credo che il ruolo della Nato debba essere idealmente legato a una visione del mondo che dia sicurezza, non allo sparacchiare qui e là. Anche perché, come sempre, in questi giorni, vedo tanta gente che dice ‘armatevi e partite’. Generalmente questi guerrieri improvvisati e con la bava alla bocca nell’invocare guerra sono militesenti”. È in linea, Scurati?