I NOI, la siamese band, al 100% Made in Minerbio

Foto Concerto I NOI

Gli intrattenimenti delle serate estive del territorio minerbiese, nella pianura di Bologna, hanno annoverato, tra l’altro, una bellissima performance musicale del noto “complesso” I NOI, avuta luogo lunedì 8 settembre.

Nell’area, anzi, più corretto dire nell’aia accanto al vecchio teatro, sopra il prato dove, durante le estati degli anni Cinquanta, si guardavano i film del neorealismo italiano, seduti sulle sedie portate da casa, si sono esibiti I Noi, una band interamente Made in Minerbio.

Il concerto si è svolto nell’ambito della Festa della Campagna di Maddalena, giunta alla  cinquantacinquesima edizione, in uno scenario che unisce memoria tradizione, arte culinaria e vecchi mestieri.

Il primo brano dà il via al racconto, (…stanotte voglio stare acceso e dire sempre di sì per colpa di chi chi chi chi chichichirichi) aprendo una serata inondata di motivi che I Noi hanno raccolto e sedimentato nel tempo, per la gioia di un pubblico che spesso si unisce spontaneamente alle voci del gruppo.

Due ore e più di musica coinvolgente, perfettamente coerente con quel Generino – così lo definisce il frontman Gabriele, per tutti Bele che rappresenta la loro proposta musicale.

Bele (chitarra e voce) e Gianni Carpani (tastiere e voce) sono i membri fondatori della band sin dalle sue origini, risalenti al 1968. Un anno cruciale, in cui le nuove generazioni iniziarono a scrollarsi di dosso le catene delle convenzioni sociali.

Sostenuti dalle innovazioni tecnologiche e spinti da un desiderio di cambiamento, i giovani cominciarono a esplorare forme espressive alternative, tanto nel pensiero quanto nella musica, rompendo con i modelli del passato. Da quello slancio nacque una nuova consapevolezza collettiva e forse anche l’idea di fare squadra. È proprio da questo spirito condiviso che prende vita la band, allora denominati complessi, I Noi: un nome che oggi suonerebbe come una risposta netta e controcorrente all’individualismo dominante.

Smarriti lungo il cammino o bruscamente portati via dall’avidità del tempo, alcuni si sono persi; altri, invece, si sono uniti per tenere in vita la band, lungo un percorso che conta ormai cinquantotto stagioni.

Alan Frulla, con un illustre passato da calciatore, oggi è al basso, affiancato alla batteria dal bel cinno Francesco Moccoli: insieme, formano una sezione ritmica solida e affiatata. Quando non è impegnato su palcoscenici internazionali, alla batteria c’è Max Fusco. A completare il trio di chitarre, oltre a Gabriele, ci sono Andrea Nanni, psicologo in libera uscita e Drago, noto ai più solo con lo pseudonimo dietro il quale, secondo voci ben informate, si nasconderebbe Ernesto Benazzi. Alla voce, l’energia e la presenza scenica di Stefania Zanardi, videomaker di provata esperienza.

Durante la serata, alla regia del suono si è unito con maestria Aldo Casalati, vecchia conoscenza del gruppo. Con l’aiuto del breviario, ennesima licenza semantica firmata Bele, in bella vista sul leggio, si snodano brani tratti tanto dal pop italiano quanto dalla scena internazionale. Il ritmo si fa via via più coinvolgente, con alcune interpretazioni vocali libere e cariche di emozione che spingono il pubblico ad alzarsi timidamente dai pallet (riciclati a mo’ di scomodi divani) per iniziare a dinoccolarsi e in certi casi persino tentare di ballare.

Non sono mancati i classici di Lucio Battisti e Adelmo Fornaciari, in arte Zucchero, che hanno riempito un land concert reso ancora più divertente dall’inglo-minerbiese di Bele, sempre in dialogo con Gianni. Quest’ultimo, oltre a qualche incursione vocale, ha letteralmente pitturato le note sulla tastiera che sotto la danza delle sue mani prendono l’armonia del candido color bianco e il nero dell’inchiostro.

Il pubblico, interpellato a tratti con una sorta di censimento partecipativo, risulta provenire da un’area che va da Poggiorusco a Mondonuovo (località che vide l’esordio di un certo Vasco Rossi).

A incantare gli spettatori ci hanno pensato anche gli effetti speciali: led intermittenti e pluricromatici che amplificano l’atmosfera. Dal cassetto dei ricordi sono riemersi brani leggendari: dagli Shocking Blue a Joe Cocker, passando per Renato Zero, i Nomadi, Tina Turner, i Creedence Clearwater Revival, fino a Bob Dylan con l’intramontabile Knockin’ on Heaven’s Door (Bussando alla porta del Paradiso): un pezzo immancabile anche per via della location. Il gran finale è arrivto con una Vespa: la mitica 50 Special di Cesare Cremonini.

Quasi tre ore di spettacolo, con un sound accattivante, profondo e pulsante, che ha lasciato gli spettatori poco disposti a lasciare la scena, nonostante l’ora ormai tarda. Più blues che rock, in un crescendo coinvolgente che rimanda alla prossima, e speriamo imminente, esibizione de I Noi: un gruppo unito al proprio pubblico al punto da sembrare un’unica entità, una sorta di siamese band. (E questa battuta usata come chiosa al presente scritto, la consideriamo degna del miglior Bele).