Meloni-Zelig

È impossibile non pensare a Zelig, che non è la nota trasmissione satirica degli anni novanta, ma il nome di quel personaggio dell’omonimo film di Woody Allen che riflette il conformismo estremo, portato alle sue conseguenze più radicali, in cui l’individuo rinuncia a qualsiasi autonomia e originalità per assimilarsi completamente agli altri. Nonostante qualcuno abbia parlato di un personaggio inventato dal noto regista newyorchese, da un articolo comparso nel 2007 sul quotidiano “La Stampa” impariamo che Leonard Zelig esiste davvero. Il camaleontico protagonista del film cult di Woody Allen, nella realtà, ha le sembianze di A.D., napoletano, 65 anni, con una carriera da professionista bruscamente (e drammaticamente) interrotta da un disturbo comportamentale che non ha precedenti nel suo genere: si trasforma nel suo interlocutore, è medico quando ha a che fare con un medico, diventa un esperto di cocktail se si trova di fronte a un barman, è un cuoco provetto se entra in una cucina.

Come definire la personalità della nostra premier che riesce, senza suscitare particolare scandalo, a mostrare uno sdoppiamento di personalità a seconda dei politici cui si accompagna?

È questo il classico esempio di come sia diverso fare politica dai banchi dell’opposizione o farla quando si hanno incarichi di governo. Ma est modus in rebus, verrebbe da dire!

Da “è finita la pacchia per l’Europa” è passata a stringere rapporti indecenti con Ursula Von der Leyen, conditi da sorrisini e salamelecchi, condannata per avere intrattenuto rapporti economici al di fuori della Commissione ed eliminando gli SMS che aveva scambiato con il CEO di Pfizer, Albert Bourla. Del potere che abbiamo dato in mano a questa signora, alla quale tutti obbediscono, se ne è accorto, più di chiunque altro, Frédéric Baldan, ex lobbista accreditato presso la Commissione Europea, al quale due banche belghe hanno chiuso il conto per avere rivelato nel saggio dal titolo Ursula Gates. La von der Leyen e il potere delle lobby a Bruxelles tutti i retroscena dell’affare Pfizer. E la stampa, presidio di democrazia e libertà…muta!

Ma non paga, la nostra prima ministra, fa il filo ai MAGA. In questo, bisogna ammetterlo, è stata molto aiutata dalle élites di comando europee che non hanno esitato a calare le braghe davanti a Trump ed ai suoi dazi. Ma siccome, da buoni italiani, bisogna lasciarsi sempre una porta aperta, la premier non esclude possibili accordi diretti con l’immobiliarista americano per ottenerne vantaggi economici.

E viene in mente von Bülow che aveva definito quella italiana la “politica dei giri di valzer” quando tra il 1914 e il 1915 l’Italia, formalmente legata alla Triplice Alleanza con Germania e Austria-Ungheria, cambiò schieramento entrando nella Triplice Intesa (Francia, Gran Bretagna e Russia) per ottenere maggiori vantaggi territoriali in caso di vittoria nella Prima Guerra Mondiale. Ed infatti riesce ad uscire indenne anche dall’incontro con quello che dovrebbe essere un suo interlocutore privilegiato in Europa, almeno se ci si vuole attenere alla collocazione a destra del suo partito. (Per evitare fraintendimenti va precisato che il partito di Orban Fidesz e Fratelli d’Italia sono iscritti a due gruppi diversi, anche se ambedue di destra). Il quale interlocutore, che ha seri problemi in materia di diritti, ha almeno il coraggio di dire qualche verità del tipo: l’Europa non conta nulla. Poi, il furbacchione si prende i soldi che la tanto odiata Europa elargisce ai suoi membri e continua a fare i propri comodi.

Come riesce, Giorgia, in questo capolavoro di diplomazia 2.0.? Col silenzio! Basta non prestarsi al confronto con la stampa e blaterare qualcosa, senza dire nulla, quando sei in difficoltà, per vivere a lungo. Tanto dall’altro lato mica c’è da temere qualcosa?