Constato con amarezza mista a rabbia e sconcerto come la frenesia della competizione abbia raggiunto anche un ambito in cui essa dovrebbe, più che in altri, lasciare spazio al puro diritto all’esercizio dell’attività sportiva e, secondariamente, a una competizione sana e leale: il mondo dei diversamente abili.
L’encomiabile innovazione delle Paralimpiadi ha, purtroppo, portato a fare prevalere in molte società sportive lo spirito della competizione per cui esse tendono ad escludere i soggetti diversamente abili più gravi dalle attività sportive, portando come motivazione di questa esclusione la mancanza di “prerequisiti” che si frapporrebbero all’esercizio del diritto all’attività fisica.
Ora, che un soggetto normodotato che abbia intenzione di praticare uno sport a livello agonistico possa passare attraverso il giudizio di un istruttore che sentenzi la sua inadeguatezza rispetto ad una determinata attività sportiva è comprensibile, ma non si capisce bene cosa possa intendersi per “prerequisito” quando parliamo di soggetti diversamente abili. Tocca, pertanto, constatare come alle alate parole che infarciscono i discorsi sul mondo dei diversamente abili non seguano quelle azioni che ci si aspetterebbe. Purtroppo ciò accade anche per ambiti, come quello dell’infanzia che, nonostante le Dichiarazioni Universali che la riguardano, continua a subire violenze di ogni tipo compresa quella che impedisce ai bambini di accedere a un diritto fondamentale come quello al gioco. Basti pensare ai bambini-soldato, vera vergogna dell’umanità.
La realtà in cui viviamo, purtroppo, è caratterizzata da disuguaglianze che si crede di combattere modificando le parole, ma lasciando inalterati i comportamenti, secondo la nefasta logica del “politicamente corretto”, che altro non è che un modo per mettersi a posto la coscienza, relegando ai margini soggetti come l’infanzia e i diversamente abili che continuano a subire i pregiudizi di un mondo in cui prevalgono la logica del profitto a tutti i costi e della competizione sfrenata. E tutti a riempirsi la bocca di frasi altisonanti del tipo “la diversità è un valore”!
Come sempre, chi vive quotidianamente i problemi di questi soggetti, le famiglie e chi, a diverso titolo, li ha in carico, è lasciato solo, con l’aggravante che in molte realtà all’emarginazione dovuta a quanto suesposto si aggiunge l’impossibilità economica di accedere ai servizi di cui questi soggetti hanno bisogno. E così al danno si aggiunge la beffa. Ciò che stupisce, alla fine, è la disinvoltura con cui istruttori e sedicenti educatori giustificano simili scelte, non riflettendo sul fatto che, in questo modo, si sottomettono anch’essi alle logiche di mercato, per il quale tutto ha un prezzo e niente valore.