Erroneamente chiamato, per mere finalità di contrapposizione politica, “decreto salva casa” (o condono 2024) – dizione che richiama più gli abusi edilizi che le piccole irregolarità – quanto proposto dal Ministro Salvini ha come scopo la regolarizzazione delle piccole difformità, formali e sostanziali, che riguardano quasi l’80% del patrimonio immobiliare italiano. Uno scopo che, questo l’intento del Ministro, dovrebbe chiudere decine se non centinaia di migliaia di pratiche burocratiche che, ad oggi, giacciono ferme e altro non fanno che ingolfare gli uffici comunali.
A dispetto di chi grida all’ennesimo condono “salva furbi”, questo provvedimento dovrebbe riguardare tutti quei casi nei quali gli immobili (spesso ereditati e costruiti negli anni ’50 – ’60) sono privi della documentazione oggi richiesta per poterne disporre o contengono errori formali spesso conseguenti a problemi di interpretazione e applicazione delle norme vigenti all’epoca della costruzione con quelle odierne. Allo stesso modo dovrebbero finalmente trovare soluzione tutte quelle pratiche riguardanti immobili che, a vari decenni di distanza, si è scoperto avere delle piccole difformità di costruzione rispetto all’originario progetto e che, all’epoca, erano però perfettamente conformi alla legge vigente (che non prevedeva molti dei permessi e certificati oggi richiesti). Si pensi, ad esempio, a finestre o balconi realizzati con lievi differenze dimensionali o posizionate in modo differente dal progetto, piuttosto che alcune tramezze o piccoli manufatti interni che, a causa della richiesta doppia conformità, oggi non sono sanabili e, quindi, disponibili da parte del proprietario.
Non voler procedere con questa sanatoria vuol dire fare della mera e dannosa propaganda politica a spese dei Comuni, che rimangono intasati di decine di migliaia di pratiche da evadere, dei proprietari che non possono né abbattere o rifare l’immobile né disporne, dello stesso Ente pubblico che, con questa sanatoria, potrebbe incamerare importanti risorse grazie a quanto ogni singolo proprietario dovrebbe versare per poter ottenere la conformità.
Come associazione a tutela dei proprietari immobiliari, non possiamo, quindi, che stigmatizzare questa ipocrisia “elettorale” di chi vorrebbe da un lato usare (spesso in modo autoritario) le case degli italiani come bancomat e, dall’altro, fingere di non vedere che con questa sanatoria si risolverebbero un’infinità di pratiche alleggerendo al contempo i Comuni e dando ai proprietari la possibilità di mettere questi immobili sul mercato. Un’ipocrisia che costerebbe – per mancati introiti di diritti e sanzioni – decine di milioni di euro a danno degli stessi Comuni.