Alcune carriere sportive diventano leggenda, e vanno a rappresentare qualcos’altro al di là delle semplici gesta. E’ il caso di Pietro Anastasi, scomparso il 17 gennaio al culmine della disperazione: stremato dalla malattia, ha infatti chiesto la sedazione assistita. Catanese, arrivato al nord in giovanissima età, con i suoi gol ha rappresentato l’orgoglio e il desiderio di affermazione dei lavoratori provenienti dal Meridione. Era un’Italia divisa, in cui campeggiavano i cartelli “non si affitta a meridionali”. In questo contesto, un siciliano, figlio di operai, che si fa valere prima a Varese e poi a Torino, guidava immaginari che non riguardavano soltanto i gol. Non era ancora l’epoca del politicamente corretto, e gli insulti se li è beccati tutti, senza lamentarsi e frignare come è di moda oggi: rispondendo coi fatti sul campo si è fatto amare da ogni tifoseria. Il gol-capolavoro nella finale dell’Europeo del 1968 è un piccolo pezzo della storia d’Italia. La sua leggenda cominciò con un aneddoto interessante. Un dirigente del Varese, dopo una partita a Catania, aveva lasciato il proprio posto sull’aereo per Milano a una donna incinta. Dovendo restare fino al giorno dopo, è andato a vedere la Massiminiana, scoprendo il grande talento di Pietro giovanissimo. Da qui il trasferimento a Varese, che portò Anastasi alla ribalta della serie A. Se ne è andato tristemente, prematuramente (oggi a 71 anni si è ancora giovani) dopo aver lottato con la sla che gli ha progressivamente tolto la voglia di vivere, prima ancora della vita.