di Tiberio Artioli Tra i calendari, tanti nell’epoca dell’era della stampa digitale che ci sono sottoposti, abbiamo scelto quello di Maurizio Poli. La scelta è avvenuta, al di là del merito, dal fatto che in altra occasione abbiamo avuto modo di documentare ad apprezzare il suo lavoro. La prima pagina ci depista. L’immagine, che poi abbiamo compreso, è il logo della ditta stampatrice, riconduce a Wassily Kandinsky e alle sue riflessioni, progenitore dell’astrattismo. Compare, infatti, un cerchio, una sorta di grande punto, elemento geometrico quale genesi di tutte le forme, un centro germinativo, poi una linea come sua evoluzione cinetica; il tutto occupa una superficie. La considerazione ispirata alle teorie dell’artista russo rimane quindi sono un’occasione di para-dotta citazione riferita all’arte contemporanea pur se all’interno troveremo una rivisitazione surrealistica di Magritte con la visione di un paesaggio da una finestra. In realtà lo svolgersi del calendario distribuito in tredici immagini, è una sorta di ripresa della realtà a km 0. Luogo di ricerca è Cervia che pur se ha il centro storico fra i belli della riviera romagnola. A eccezione di un’immagine, non ci sono offerte visioni urbane, ma essenzialmente mare e natura. Un anno di mare è l’appropriato titolo del calendario che dal primo istante offre piena empatia allo sguardo per l’immediata e gradevole tecnica fotografica delle immagini e per l’insito spunto riflessivo. La copertina, definiamola così, parte con una visione notturna con una luce sufficiente per cogliere l’implicita presenza umana, ma senza luna. E la notte che lasciamo, speriamo al 2020 col suo carico di negatività bisestilica, per desiderare la normalità che l’autore coglie immortalando un biglietto che recita: Buongiorno Cervia, mantenete le distanze, ma anche il sorriso. Molto meglio ci pare della frase, poi diventato diffuso motto del poeta Derek Mahon caratterizzante la pandemia, per altro da poco scomparso, Andrà tutto bene. Se non altro perché al momento non è andata a buon fine per molti. Troppi. Le immagini che si susseguono sono una continua narrazione reciproca con la natura, con la sua forza domata dall’uomo, ma con rispetto, timore, in un rapporto dialettico, almeno apparente. Le foto colgono la concretezza e solo a volte gli effetti di questa. La spiaggia fermata per un attimo, quello sufficiente per sedimentarla negli aspetti più selvaggi, in una situazione tale da accogliere gli esseri viventi del pianeta, non solo gli uomini, e atta a ospitare anche il popolo degli eterni ricercatori di abbronzatura a dispetto della carica minore di melatonina che caratterizza l’avanzare degli anni; sono immagini che raccontano la possibilità dell’equilibrio sempre minato dall’avidità umana. ben colta dalle parole dell’enciclica Laudato si’ L’autore cerca, e rappresenta, l’armonia, nell’illusione che questo sia il tratto peculiare su cui non infrangere le proprie attese. Una visione questa che ci pare paragonabile a quella che Papa Francesco, nello scritto citato, ci pone alla riflessione ricordandoci la bellezza dell’involucro che accoglie il pianeta. Siamo in un mondo nel quale la scienza, il progresso tecnologico, l’economia, i problemi sociali, l’agire umano e, perché no, la politica, non sono più ambiti ubicati in camere stagne e autosufficienti, ma elementi obbligati a convivere in un villaggio globale che è poi oggetto dell’ecologia. Lo svolgersi narrativo nello dispiegarsi svela gli aspetti di tradizione e modernità della Romagna, terra operosa, d’incontri fattivi, di coraggio e speranza . aspetto quest’ultimo che l’autore illustra con l’ultima foto fermando un meraviglioso tramonto estivo. Rosso di sera bel tempo si spera.