di Sergio Fanti
Lo strumento c’era già, ma la pandemia lo ha reso quasi indispensabile, e nel caso della didattica a distanza assolutamente necessario. Stiamo parlando delle piattaforme on-line che consentono le videochat. La più diffusa è Zoom, dalla quale è nato il neologismo “zooming”, che significa “comunicare attraverso una piattaforma video”. Pratichiamo lo zooming per comunicare con amici e familiari, per riunioni di lavoro, per tenere conferenze o assistervi. E, ovviamente e purtroppo, per studiare, attraverso la didattica a distanza. Che significa, nella pratica, fare zooming? Significa passare ore davanti allo schermo, focalizzati sul viso degli interlocutori e sulla nostra immagine riflessa. Quello che sta emergendo è che il computer – comodissimo e pratico per annullare le distanze – assorbe le nostre energie psicofisiche. Dopo un po’ di ore davanti allo schermo ci si sente svuotati, come prosciugati della nostra energia vitale, spenti e demotivati a tutto. Questo effetto è ridotto un po’ dallo schermo e dalla postura che il computer ci impone, e un po’ dallo strumento delle piattaforme-video. Innaturale avere contatti prolungati col viso di un’altra persona (soltanto col suo viso senza il resto del corpo) ed è altresì innaturale trovarsi o a monitorare la propria stessa immagine, in una condotta di costante vigilanza. Tutto questo crea tensione. E crea tensione anche il dovere mantenere la propria espressione in un contesto verbale e composto, sacrificando tutto quell’insieme di gestualità e para-verbale che ci accompagna dalla notte dei tempi, ancor prima della comparsa del linguaggio. E questi elementi, in una relazione fisica, servono anche da scarichi tensionali, mentre con lo zooming diviene davvero improbo scaricare la tensione. Infatti le persone avvertono spesso l’esigenza di staccare la videocamera per rendersi invisibili e sgranchirsi gambe e mente distraendosi in qualcos’altro anche solo per poche decine di secondi.
E in questa riflessione non parliamo di lombalgie e tunnel carpali, ci soffermiamo solamente sull’aspetto neurologico, mentale ed emozionale. In videochat vengono a mancare la posizione del corpo, la dinamica dei movimenti, tutti strumenti comunicativi cui siamo abituati da sempre. Con le videochat le relazioni sono possibili, ma risultano impoverite e artificiose, prive di quella spontaneità che sarebbe inopportuna attraverso lo schermo. Manca la solita e atavica situazione in cui mente e corpo sono di fatto co-artefici della comunicazione. A fare le spese di tutto questo nuovo regime sono soprattutto i ragazzi, che più degli adulti hanno bisogno della dimensione della corporeità per comunicare, vivere, crescere.