In un momento storico in cui il pianeta è devastato da una crisi ambientale, una sanitaria ed una economica, strettamente legate fra loro, fa sicuramente bene ricordare agli smemorati da dove ha avuto inizio tutto questo.
Erano i famigerati anni ’80 (e quali sennò!).
“Lo Stato non è la soluzione, è il problema”, tuonava R. Reagan, mentre M. Thatcher gli faceva eco con il suo slogan “La società non esiste”. Sembrava aprirsi una nuova era di benessere per tutti. “Meno Stato e niente società” sarebbe diventato il mantra dei decenni successivi.
Ed invece era cominciata, nel nostro opulento Occidente, l’era della povertà per molti e della ricchezza per pochi. Sino ad allora aveva resistito un modello economico-sociale che, pur all’interno di una logica liberista, era riuscito a tenere a bada gli appetiti degli squali della finanza e del mercato, garantendo i ceti più deboli con un accettabile welfare e una un’altrettanto accettabile distribuzione della ricchezza, insieme ad una relativa mobilità sociale.
La cosiddetta deregulation avrebbe mostrato, col tempo, tutti i suoi limiti. Paradossalmente anche chi l’aveva propugnata dovette sperimentarne gli effetti collaterali, invocando quello Stato che aveva proditoriamente, ma scientemente, negato. Infatti, non appena una crisi epocale si affacciò all’orizzonte, era il 2008, lo Stato tornò di moda. Doveva servire a far pagare ai cittadini gli spregiudicati comportamenti delle banche che per rastrellare soldi vendevano agli ignari clienti titoli spazzatura, contrabbandati da “affare del secolo”.
Ma lo Stato italiano faceva di più. In perfetto stile ordoliberista, dietro esplicita richiesta dell’UE, introduceva, nel 2012, all’articolo 81, il pareggio del bilancio nella Costituzione, segnando un ulteriore passo verso la perdita di sovranità in campo economico-finanziario.
Già molti anni prima, era il 1981, si era consumato, quello che potremmo definire, il salto mortale per il nostro Paese: B. Andreatta, allora ministro del Tesoro, con una semplice lettera comunicava all’allora Direttore della Banca d’Italia, C.A. Ciampi il divorzio tra le due Istituzioni, in seguito al quale non sarebbe stato più possibile ai governi finanziare monetariamente il disavanzo. Da allora in poi, lo Stato sarebbe dovuto ricorrere ai mercati finanziari privati, i cui tassi di interesse erano naturalmente di gran lunga superiori a quelli precedenti il divorzio. Era l’inizio della fine. L’italia non avrebbe più avuto quella autonomia e sovranità economico-finanziaria che sola può consentire ad uno Stato di superare, senza grandi contraccolpi, le crisi che ciclicamente si abbattono sui mercati.
A onor del vero, ad aggravare il quadro c’era una borghesia imprenditoriale familista che succhiava dallo Stato tutto quello che poteva. Per nulla incline ad investire in innovazione, questa borghesia cialtrona non si curava del fatto che il Paese andava accumulando un colpevole ritardo rispetto alle altre economie europee, ritardo di cui ancora oggi piangiamo le conseguenze. Così accadde che, con l’ingresso in Europa, l’Italia fu costretta a traghettare da un’economia protetta ad una severa economia di mercato che non intendeva concedere vantaggi ad alcuno. E, come sempre, il peso di tutto questo ricadeva e continua a ricadere sulle spalle di chi non ha i mezzi per sopportare le inique leggi imposte dalla logica neoliberista.
Una borghesia miope, la crisi delle banche, i principi neoliberisti introdotti negli ordinamenti dello Stato e il divorzio di cui si è detto, formavano un micidiale cocktail che sarebbe stato alla base di una tempesta perfetta. Molti non lo capirono, i soliti noti lo sapevano, ma andava bene così perché, of course, era una tempesta perfetta che si abbatteva solo sui ceti popolari e i ceti medi, mentre per i già ricchi sarebbe continuata la bella stagione dei profitti: più bella e più superba che pria! C’erano voluti trent’anni, ma ormai era fatta!
Poteva anche non andare così. Ah no, scusate, non poteva. C’è un altro mantra, anche questo di thatcheriana memoria, che stavo dimenticando e che mette d’accordo tutti: ” There Is No Alternative”! TINA, per gli amici.