Ma che golpe abbiamo noi

Sono ormai passati quasi tre mesi dall’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca, ma gli interrogativi sui fatti che lo hanno preceduto rimangono attuali. Sapere se ci siano o non ci siano stati brogli, e se ci siano stati di che natura, è ormai, una questione di secondaria importanza rispetto al vulnus che ha creato nella democrazia americana l’occupazione del Congresso da parte di alcuni facinorosi e folkloristici personaggi che mai avremmo pensato potessero arrivare fin lì. Così come sembrava impensabile che il Presidente degli USA non li fermasse prima che accadesse l’irreparabile.

Un primo interrogativo riguarda il modo in cui l’informazione ha cercato di negare l’esistenza di interferenze. Perché, si chiede l’uomo comune, è lecito pensare che ci possano essere state interferenze da parte di potenze straniere per colpire Hillary Clinton e favorire l’elezione di Trump, mentre adesso si è escluso a priori che possa esserci stato qualcosa di simile, questa volta contro Trump?

C’è poi un grosso equivoco che riguarda gli Stati Uniti ma anche molte altre nazioni del mondo, compresa la nostra, ed è che non esista una vera questione razziale, ma soltanto dei casi isolati di comportamenti a sfondo razzista  che non debbono destare particolare allarme. 

A questo va aggiunto che qualcuno si ostina a vedere in Trump la causa dell’esplodere dei movimenti di ultra destra. A ben vedere le cose non stanno proprio così. La presenza di movimenti razzisti è da sempre una costante della storia degli USA. Trump ha solo scoperchiato il vaso di Pandora. Ed anche qui è facile vedere come ci siano delle analogie con quanto avviene nel mondo. Se prendiamo ad esempio l’Italia, possiamo accorgerci come, con Salvini al potere, siano riemersi gruppi di estrema destra che, confortati dalla presenza al governo di una figura che in qualche modo ne giustificava i comportamenti, hanno ripreso vigore, e, come un fenomeno carsico, sono tornati in superficie, dopo decenni di inabissamento. E se è evidente che un sentimento razzista alberga da sempre presso alcune fasce della popolazione italiana, è altrettanto chiaro che ciò non è addebitabile al politico leghista, che ha sdoganato questo sentimento rendendolo accettabile e legittimandone l’esistenza. 

Volendo abbozzare un tentativo di analisi, si potrebbe supporre che l’avere abbandonato le politiche sociali ed avere lasciato allo sbaraglio interi pezzi di società, soprattutto il ceto medio, ha favorito l’insorgere di atteggiamenti e comportamenti di chiusura nei confronti di figure come gli immigrati, scaricando su di essi la rabbia che ha ben altre radici, anche perché, e questo la storia ce lo insegna, fa sempre comodo al potere scatenare una guerra fra i poveri! 

Non va, poi, sottovalutato, a proposito degli USA, l’impatto che ha avuto, sull’economia americana e sull’opinione pubblica, l’inarrestabile avanzata della potenza cinese che, non a caso, è diventata il bersaglio di un Trump che, pienamente consapevole del ritardo che il suo paese va accumulando nei confronti della Cina, ha sfoderato, all’uopo, lo slogan “America first”, dando il via a politiche neoprotezionistiche che non si vedevano da tempo.

Un fenomeno particolarmente diffuso nel nostro tempo è, poi, la tendenza a cogliere solo il bianco e il nero, evitando di cogliere le sfumature che, spesso, sono la spia di realtà complesse. Prendiamo ad esempio la narrazione manichea che vuole l’accoppiata Biden-Harris come il bene e quella Trump-Pence come il male. Nella realtà, ad una osservazione meno superficiale, si può constatare come Joe Biden e Kamala Harris hanno molto da nascondere agli americani, sia per quanto riguarda la politica estera sia rispetto al riconoscimento dei diritti civili. Ma poiché informarsi su come stanno realmente le cose, oggi, è particolarmente  difficile e faticoso, anche per via di un’informazione ormai a reti unificate, ci si accontenta di quello che viene diffuso dai media dominanti. Sicuramente, la compromissione di decisive aree del Partito democratico con i grandi della finanza, particolarmente invisi ai ceti meno abbienti, ha contribuito alla vittoria di Trump che, da animale politico qual è, ha saputo interpretare questo malessere presentandosi come il paladino degli interessi dei ceti più colpiti dalle frequenti crisi, e su questo malcontento ha fondato il suo successo. E questo spiega anche la debàcle dei sondaggisti che, piuttosto che compulsare i reali umori della società, si lasciano spesso guidare dai desiderata dei loro padroni.

Ma l’equivoco che li racchiude tutti è l’avere pensato agli USA come la patria della democrazia moderna, per cui adesso molti americani, risvegliandosi da un brutto sogno, scoprono che i golpe, per i quali sono famosi nel mondo, soprattutto in America Latina considerata, dalla dottrina Monroe in poi, un loro orticello,  possono provare a farseli in casa, ad onta di tutti coloro che lo consideravano impossibile. 

Gli USA, il paese delle opportunità,  della libertà, cui hanno dedicato una memorabile statua, del libero mercato che rende tutti più felici, si è scoperto il paese della povertà, del razzismo, della violenza, dell’assenza di adeguate coperture sanitarie e di buone scuole pubbliche. Finché tutto questo sarà gestito politicamente da chi non osa mettere in discussione il modello di sviluppo attualmente vigente, le contraddizioni diventeranno sempre più insanabili, al punto da diventare ferite destinate ad andare in cancrena.