C’è un primato di cui tanti siciliani farebbero volentieri a meno ed è quello della Sicilia “laboratorio politico d’Italia”.
Per chi non ha memoria o preferisce dimenticare farò un piccolo riassunto delle puntate precedenti.
Nel 1958 il caso politico eclatante fu il “milazzismo”, che vide la convergenza tra PCI e MSI per estromettere la Democrazia Cristiana dal governo dell’Isola e da quel momento il termine “milazzismo” passò a designare un’operazione politica di vertice, detta altrimenti “inciucio”.
Diciotto anni dopo, nel 1976, un’altra convergenza vide PCI e Democrazia Cristiana alleati, anticipando il famoso “compromesso storico” per il quale Aldo Moro, fautore dell’alleanza, fu assassinato, si disse, dalle Brigate Rosse. Ma la storia sembra molto più complessa poiché pare non potersi escludere, in tutto l'”affaire”, la manina dei servizi segreti. Ma questa è un’altra storia.
E come non ricordare, nel 2001, il “cappotto” di Berlusconi che in Sicilia si accaparrò tutti i 60 seggi a disposizione nell’isola alle politiche di quell’anno, lanciandolo come un razzo nel panorama politico del Paese, dopo il fallimento del suo primo breve governo del gennaio 1995.
Fu in terra di Sicilia, infine, che il Movimento 5 stelle, ebbe la sua consacrazione di primo partito dell’isola, cui seguì la consacrazione di primo partito d’Italia nel 2013. E questa è storia.
Sulle cause di questa peculiarità tutta siciliana gli storici hanno dato spiegazioni diverse, ma in questa sede ho ritenuto sufficiente solo richiamarla per denunciare un atto che ancora una volta potrebbe fare da apripista ad una norma che arrecherebbe un danno incalcolabile alla tutela dei beni culturali del nostro Paese, il Belpaese.
È infatti di questi giorni la notizia che l’assessore regionale ai Beni culturali della Regione Sicilia dà, con un decreto che fa seguito alla Carta di Catania, (documento frutto dell’Incontro Nazionale Verso un Coordinamento Nazionale degli Ecomusei), la possibilità a privati di prendere in affitto alcuni beni “deprivati di ogni riferimento al loro contesto di appartenenza” dietro “pagamento di un corrispettivo che potrà avvenire, oltre che in denaro, anche attraverso la fornitura di beni e/o servizi”.
C’è della lucidità in questa follia, verrebbe da dire.
Con una disinvoltura pari solo all’ignoranza di chi dovrebbe tutelare il patrimonio culturale del proprio territorio, si fa passare come legittimo un principio economicistico che confligge con il Codice dei Beni culturali che esclude qualunque finalità di profitto nella gestione delle opere presenti nei musei, nei Parchi, nelle biblioteche, nelle gallerie. Infatti, il Codice specifica che “la valorizzazione consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo culturale”. L’assessore Samonà e la Soprintendente Rosalba Panvini sicuramente attribuiscono all’espressione “valorizzazione del patrimonio” un significato diverso, in quanto il “valore” viene misurato in euro anziché in ampliamento di conoscenze e diffusione della cultura.
(A questo proposito va ricordato il dibattito attualmente vivo sulla opportunità o meno di sottoporre importanti opere al rischio di danneggiamenti consentendo il loro trasporto nei musei del mondo).
Siamo così passati dal “con la cultura non si mangia” al “mangiamoci la cultura”!
Alla luce della tendenza propria del pensiero dominante che vuole che si facciano danè a tutti i costi, non stupisce, o forse sì, che associazioni come Italia Nostra Sicilia vedano con favore l’introduzione di questa norma che, in ossequio allo “Zeitgeist”, considera plausibile l’uso del patrimonio artistico a fini di lucro. E ciò potrebbe anche essere accettato, qualora, tanto il prestito quanto l’uso economico venissero regolati dal principio di “valorizzazione” del Codice dei Beni Culturali. E questo, purtroppo, non è affatto scontato che avvenga.
Infatti è sempre dietro l’angolo la tentazione di sfruttare questi beni, che giacciono inutilizzati nei depositi dei musei, per rimpinguare le casse della Regione che, sentite sentite, potranno avvalersi, per la catalogazione di questi beni, dell’opera degli studenti universitari che grazie a questa attività, classificata come tirocinio, avranno la possibilità di accumulare crediti. Non c’è che dire. Un piano perfetto in grado di mettere d’accordo associazioni preposte alla difesa dei beni culturali, partiti politici, soprintendenze e altre qualificate personalità che sembra ignorino l’abc della tutela del nostro patrimonio.
A chiedere al primo passante se considera cosa giusta spostare dal fondo di un deposito una statua per ottenerne un ritorno economico, quasi sicuramente la risposta non potrà che essere positiva. Probabilmente, e per questo lo capiamo, non sa quello che dovrebbero sapere coloro i quali sono preposti alla salvaguardia della nostra memoria storica ed artistica e cioè che i depositi dei grandi musei rappresentano una ricchezza inestimabile a disposizione non solo degli studiosi che hanno in questo modo la possibilità di accedere a reperti di grande valore, ma anche di semplici visitatori. E, nonostante, le rassicurazioni della “Carta” che si premura a precisare che a sorvegliare sui beni affidati in prestito sarà la soprintendenza competente per il territorio, rimane intatta la perplessità che i prestiti possano subire danneggiamenti irreversibili cui nessuna revoca e/o sanzione potrà mai rimediare.
Il rischio più grosso è, pertanto, che il profitto possa diventare il fine e la valorizzazione dei beni culturali il mezzo, perché questo trasformerebbe i beni culturali in beni di consumo, con un danno irreparabile poiché, a differenza dei beni di consumo, il patrimonio culturale non è reintegrabile o sostituibile.
Purtroppo mi sembra che la confusione tra mezzi e fini sia presente nella logica del decreto e questo, naturalmente, inquieta chi ha veramente a cuore il nostro patrimonio.
Ma per fortuna si sono levate autorevoli voci di esperti come l’archeologo e storico dell’arte Salvatore Settis, il Presidente dell’Associazione degli Archeologi e, a titolo personale il coordinatore del Tavolo dei Beni Culturali presso la presidenza nazionale di Italia Nostra, visto che l’associazione ha dato il suo appoggio all’iniziativa intrapresa dalla Regione, salutandola come un salto di qualità rispetto al passato.
Cosa ne sarà di questo decreto non è dato prevedere, ma rimane la preoccupazione che la Sicilia possa dare la stura, a livello nazionale, al tentativo di aggressione al nostro patrimonio sul quale molti vorrebbero mettere le mani.