Doneddu rappresenta un corpo che in qualche modo si oppone, combatte con le forze esterne a sé che vorrebbero costringerlo a soccombere, a rinunciare alla propria individualità, al proprio libero pensiero; l’esilità dei suoi personaggi non può non riportare alla memoria i corpi allungati di Alberto Giacometti perché simile è il senso di resilienza che emanano, uguale è la forza che impiegano per resistere a cambiamenti inevitabili, desolati e rassegnati nel caso di Giacometti ma determinati e risoluti a non soccombere nel caso di Doneddu. Il rapporto con il mondo onirico, come nella scultura Mahea, madre d’acqua,
divinità apparsa in sogno all’artista e non corrispondente ad alcuna iconografia animista, lo avvicina in particolar modo al Surrealismo e al misterioso legame che tra sogno e realtà sempre si delinea. Conosciamo meglio l’artista attraverso questa intervista. Battista, lei ha cominciato a scolpire per puro caso, solo seguendo un impulso interiore che non aveva alcuna base accademica, come mai ha scelto la scultura? E soprattutto, come ha appreso una tecnica artistica che è decisamente meno comune rispetto alla pittura? Posso dire che fin da bambino sentivo una certa vena artistica scultorea avendo appreso alcune tecniche e confidenza con il sughero, usando gli scarti che produceva mio padre quando costruiva oggetti tradizionali tipici della Sardegna, come il cosiddetto huppu, un utensile che è una via di mezzo tra un bicchiere e un mestolo usato sia per bere direttamente dal tino, sia in cucina per versare acqua alla pentola e successivamente diventato oggetto ornamentale ancora oggi spesso appeso alle pareti negli ambienti tipici come gli agriturismo. Avevo circa sette-otto anni, e armato di forbici e colla da calzolaio creavo fiori con quegli scarti che regalavo soprattutto alle mie maestre a scuola, oppure modellini di elicotteri con cui poi giocavo. Crescendo, ho scoperto le matite e i colori, e a scuola ero diventato un po’ il disegnatore ufficiale dalla classe quando facevamo il giornalino di fine anno composto di racconti e poesie che ogni bambino inventava e scriveva; io facevo i disegni per illustrare quegli scritti… ne ricordo ancora uno in particolare, l’asino che balla. Crescendo ho pensato a lungo di diventare un pittore ma più andavo avanti e più mi accorgevo che la pittura non faceva per me; in seguito mi accorsi che il legno mi attirava molto di più e un bel giorno mi misi a modellare un pezzetto di legno di ginepro intagliando in modo perfetto una mano, copiandola dalla mia. Rimasi sorpreso dalla somiglianza. Allora pensai che se ero riuscito a fare quella mano, forse potevo riuscire a fare anche qualcos’altro! E infatti fu così. Da lì in poi ho capito quale fosse la mia vocazione, e nelle opere che ho creato fino a ora non c’è differenza di affinamento della tecnica in quanto dall’inizio ho sempre avuto la stessa identica manualità di adesso. Quindi credo che sia una qualità innata, non acquisita. Come riesce a conciliare il suo lato artistico con quello professionale? Quante ore al giorno dedica alla scultura? Per mia fortuna faccio un lavoro, il guardiano notturno, che mi permette di avere tempo durante il giorno per potermi dedicare all’arte, anche se le normali attività domestiche mi portano via molto tempo; comunque se ho un’ora utilizzo un’ora, considerando però che un’ora è come un fiammifero che si consuma in un baleno, nel senso che passa molto velocemente, a volte non conviene neppure cominciare, solitamente mi servono almeno tre ore come minimo. In realtà io passerei tutto il giorno a scolpire, in modo che a fine giornata si possa vedere e distinguere il lavoro fatto. E devo dire che non potendo dedicarmi di più alla scultura la mia vena creativa si sente ingabbiata. È come sedersi a una tavola imbandita e doversi alzare dopo aver bevuto un solo bicchiere d’acqua senza mangiare niente, è frustrante. Il suo stile è decisamente Surrealista, a metà tra mondo dei sogni e realtà contemporanea, qual è il messaggio che desidera far arrivare a chi osserva le sue opere? Crede che il vivere attuale presenti profonde differenze oppure impensate analogie con il Novecento, quando cioè il movimento è sorto? Credo che in ogni epoca gli artisti abbiano creato opere conformi alla loro contemporaneità, ciascuno con la propria fantasia in base a ciò che vedevano e vivevano, e alla cultura del loro tempo. Gli artisti contemporanei di Michelangelo creavano opere più che altro incentrate su temi mitologici o religiosi, ma sempre visti con gli occhi dell’attualità di quel tempo, perché chi osservava doveva capire ciò che l’opera stessa rappresentava. Nel mio caso la questione non cambia, in quanto posso anche creare una figura moderna ma dal significato antico; amo il surreale perché sono un po’ un sognatore, e quindi mi piace creare figure oniriche, unendo la fantasia alla realtà, ma che nella realtà non esistono. Faccio un esempio: nell’opera in granito, materiale antico, Incompleta preghiera si vedono due mani giunte appunto in preghiera che si protendono verso il cielo e che simboleggiano l’amore per la mia terra costantemente ferita dalla piaga degli incendi e dal continuo depredare, letteralmente, le campagne e i monti di pietre e rocce semplicemente per commerciarle o abbellire i giardini di case private, ville della costa e piazze. È una preghiera recitata dalla nostra madre terra affinché si smetta di ferirla rovinando intere colline, l’intero ecosistema e deturpando il paesaggio circostante in nome del dio denaro. Ecco, questa è una figura che a mio avviso racchiude un tema che si concilia con diverse epoche. Quali sono i maestri del passato che l’hanno ispirata e di quanta sperimentazione ha avuto bisogno per raggiungere l’espressività artistica di oggi? A dire il vero, non ho avuto dei maestri a cui ispirarmi data la mia mancanza di conoscenza specifica ed essendo autodidatta. Sono semplicemente andato di impeto, senza avere un modello che mi ispirasse. Diciamo che il desiderio di conoscenza di artisti famosi e di opere d’arte si è delineata in contemporanea alla mia voglia di creare. Ho cominciato a documentarmi sui maestri del passato e sulle loro opere acquistando qualche rivista, poi qualche libro e pian piano ho scoperto tutto un mondo; sono andato a ricercare gli artisti sardi quali Sciola, che ancora era in vita, quindi mio contemporaneo, poi Ciusa, Nivola e altri. Tra i grandi artisti del passato, che conoscevo poiché lo avevo studiato a scuola, quello che più mi ha colpito e poi ispirato è senza dubbio il Bernini, il mio preferito perché riusciva a infondere il senso di movimento nell’opera. Mi rimase impressa l’immagine dell’opera Anima dannata. L’espressività di quell’opera è strabiliante. Ecco, lui sì, il Bernini mi ha ispirato, lo adoro. Riguardo alla sperimentazione ogni mia opera lo è poiché in ognuna di esse sperimento la mia abilità, o manualità che dir si voglia, ogni scultura che mi appresto a eseguire diventa una sfida con me stesso. Una volta terminata l’opera so che quella figura riuscirei anche a ripeterla pressoché identica, ma che senso avrebbe? La sfida con me stesso l’ho vinta. Lei ha all’attivo molte mostre personali e collettive e ha ricevuto anche una menzione speciale a Roma, qual è stata la sua soddisfazione maggiore? Quali sono i suoi prossimi progetti? Sì, ormai sono tante le mostre a cui ho partecipato, e mi piacciono moltissimo perché mi danno la possibilità di incontrare tantissima gente nuova, e vecchi amici. E poi diciamolo pure, noi artisti siamo tutti abbastanza vanitosi quando abbiamo l’opportunità di esibire le nostre opere. Forse possiamo essere timidi e riservati nella vita privata, ma durante le mostre ci mettiamo a nudo, perché in fin dei conti in ogni opera ci siamo dentro noi, il nostro carattere, i nostri pensieri, c’è un pezzetto della vita che stiamo vivendo, e inconsciamente, ma non troppo, vogliamo mostrarla e farla conoscere agli altri, che sia felicità o dolore, tristezza o follia, siamo noi in mostra non le nostre opere. E la soddisfazione più grande è che espongo un po’ dappertutto in Sardegna, a Cagliari Sassari, la Maddalena, e in tante altre cittadine sarde, ma anche nel resto d’Italia da nord a sud, con qualche presenza anche all’estero, come Southampton, Lisbona e Budapest, cosa che mai avrei immaginato. Per il futuro invece ho qualche progetto ancora in fase embrionale ma che conto di mettere in cantiere il prima possibile non appena reperisco il materiale necessario che non è cosa da niente viste le dimensioni dell’opera. Ovviamente non svelo ancora niente per scaramanzia, uno dei miei tanti difetti. BATTISTA DONEDDU-CONTATTI Email: battistadoneddu@hotmail.it Facebook: https://www.facebook.com/battizsta.doneddu Instagram: https://www.instagram.com/battistadoneddu/Marta Lock’s interviews:
Battista Doneddu, the slow discovery of the fascinating world of sculpture
Battista Doneddu has always been passionate about art, even if only as a user, and he began to follow the call towards creativity, particularly sculpture, initially only as a hobby, a way of taking refuge in a silent world made up of unveiled emotions, told dreams and contact with an expressive manual ability that he would never have imagined to have. From that day his path, parallel to his main profession necessary for him to cope with the contingency and to maintain the financial stability by virtue of which he can give free rein and exercise his art, is transformed into a constant experimentation, a desire to measure himself with challenges that were unthinkable until a short time before, to approach materials that are different from each other and for this very reason stimulating to discover. His first sculpture was made of juniper wood, a perfumed material typical of Sardinia, the region where the artist was born and has always lived, precisely because of the fascination of a material that combines visual and olfactory sensations, but also because of its ductility and malleability; then he approached all the other woods characteristic of the Mediterranean maquis, each with its own special features, with veins that inspired Doneddu to create sculptures different from each other because they harmonise with the chosen material. At a later stage he discovered stone, in particular friable trachyte and Gallura marble, with which he broadened the creative panorama of his sculpture, which rightfully belongs to Surrealism, both for the sense of mystery, of fragile interaction with the outside world that the characters represented tell, and for the artist’s ability to give body to protagonists belonging to his dreams, figures he imagined that cannot be found in the real world. The difficulties of contemporary life emerge from his men and women, often transformed into entities in which the symbol prevails over the figuration and is mixed with the bodies, generating distorted, deformed images, just as in the nightmares of the more traditional Surrealism of Salvador Dalì or Alberto Giacometti, who also tends decisively towards Existentialism; Doneddu’s sculptures are at times cries that pierce the conscience, drawing attention to current issues that are often ignored or taken for granted because they have become part of common sense, of what society blindly conforms to, despite everything. In the artwork Metamorfosi (Metamorphosis), is evident all the pain of a change which is not so much external as internal, that awareness of the need to let go of everything that no longer belongs to the current character because otherwise it would only constitute a heavy ballast that would prevent the following evolution; yet, despite the awareness, it is not easy to undress – this is the act in which the protagonist figure is immortalised – and free oneself from limiting convictions, from immobilising beliefs that often erroneously constitute a safe zone in which the individual tends to trap himself. And again in Imposizione del silenzio (Imposition of Silence), Doneddu represents a body that in some way opposes itself, fights against the forces outside that would like to force it to succumb, to renounce its own individuality, its own free thought; the slenderness of his characters cannot but bring to mind Alberto Giacometti’s elongated bodies because the sense of resilience they emanate is similar, as is the strength they employ to resist inevitable changes, desolate and resigned in Giacometti’s case but determined and resolute not to succumb in Doneddu’s case. His relationship with the oneiric world, as in the sculpture Mahea, madre d’acqua (Mahea, mother of water), a divinity who appeared to the artist in a dream and does not correspond to any animist iconography, brings him particularly close to Surrealism and the mysterious link that always emerges between dream and reality. Let’s get to know better the artist through this interview. Battista, you started sculpting by pure chance, just following an inner impulse that had no academic basis, how have you come to chose sculpture? And above all, how did you learn an artistic technique that is much less common than painting? I can say that since I was a child I felt a certain sculptural artistic vein, having learned some techniques and familiarity with cork, using the scraps my father produced when he made traditional objects typical of Sardinia, such as the so-called huppu, a utensil that is halfway between a glass and a ladle used both to drink directly from the vat, and in the kitchen to pour water into the pot, and later became an ornamental object still often hung on the walls in typical environments such as holiday farms. I was about seven or eight years old, and armed with scissors and shoemaker’s glue I used to make flowers with those scraps that then I gave my teachers at school, or model of helicopters that I then played with. As I grew up, I discovered pencils and colours, and at school I became the class’s official illustrator when we did the end-of-year magazine made up of stories and poems that each child invented and wrote; I did the drawings to illustrate those writings… I still remember one in particular, the dancing donkey. Growing up, I thought for a long time about becoming a painter, but the more I went on, the more I realised that painting was not for me; later I noticed that wood attracted me much more and one fine day I started to model a piece of juniper wood, carving a hand perfectly, copying it from my own. I was surprised by the resemblance. I thought that if I could make that hand, maybe I could make something else. And so I did. From then I understood what my vocation was, and in the works I have created up to now there is no difference in the refinement of technique as from the beginning, I have always had the exact same manual dexterity as now. So I think it is an innate quality, not an acquired one. How do you reconcile your artistic and professional sides? How many hours a day do you devote to sculpture? Luckily for me, I have a job, night watchman, which allows me to have time during the day to devote to art, even though normal domestic activities take up a lot of my time; however, if I have an hour, I use an hour, but considering that an hour is like a match that is consumed in a flash, in the sense that it goes by very quickly, sometimes is not even worth starting, I usually need at least three hours. In fact, I would spend the whole day sculpting, so that at the end of the day I can see and distinguish the work done. And I have to say that not being able to devote more time to sculpting makes my creative vein feel trapped. It’s like sitting at a table and having to get up after drinking a single glass of water without eating anything, it’s frustrating. Your style is decidedly Surrealist, halfway between the world of dreams and contemporary reality, what is the message you want to convey to those who observe your sculptures? Do you think that today’s life presents profound differences or unexpected analogies with the 20th century, when the movement was born? I believe that in every era, artists have created works in line with their contemporaries, each with their own imagination based on what they saw and experienced, and on the culture of their time. Michelangelo’s contemporaries created artworks that were more centred on mythological or religious themes, but always seen through the eyes of the actuality of that time, because the viewer had to understand what the work represented. I love the surreal because I am a bit a dreamer, so I like to create dreamlike figures, combining fantasy with reality, but which do not exist in reality. Let me give you an example: in the work in granite, an ancient material, Incomplete Prayer, you can see two hands joined in prayer reaching towards the sky and symbolising the love for my land, which is constantly wounded by the scourge of fires and the continual plundering, literally, of the countryside and mountains of stones and rocks simply to sell them or embellish the gardens of private houses, coastal villas and squares. It is a prayer recited by our mother earth that we stop hurting her by ruining entire hillsides, the whole ecosystem and defacing the surrounding landscape in the name of the money god. Now, this is a figure that in my opinion encapsulates a theme that can be reconciled with different eras. Who are the masters of the past who inspired you and how much experimentation did you need to achieve today’s artistic expressiveness? To tell you the truth, I did not have any masters to inspire me due to my lack of specific knowledge and of being a self-taught. I simply went on the spur of the moment, without having a model to inspire me. Let’s say that the desire to learn about famous artists and artworks emerged at the same time as my desire to create. I began to read up on the masters of the past and their works by buying a few magazines, then a few books, and gradually I discovered a whole world; I went looking for Sardinian artists such as Sciola, who was still alive and therefore a contemporary of mine, then Ciusa, Nivola and others. Among the great artists of the past, whom I knew because I had studied him at school, the one who most impressed and then inspired me was undoubtedly Bernini, my favourite because he managed to instil a sense of movement in the artworks. I was impressed by the image of the work Anima dannata. The expressiveness of that work is amazing. Yes, Bernini inspired me, I adore him. As far as experimentation is concerned, each of my sculptures is experimental because in each of them I test my skill, or manual dexterity, every sculpture I make becomes a challenge to myself. Once the work is finished, I know that I would be able to repeat the figure almost identically, but what would be the point? I have won the challenge with myself. You have many solo and group exhibitions to your credit and you also received a special mention in Rome, what has been your greatest satisfaction? What are your next projects? Yes, I have participated in many exhibitions, and I like them very much because they give me the opportunity to meet a lot of new people and old friends. And let’s face it, we artists are all quite vain when we have the opportunity to show our work. Maybe we can be shy and reserved in private life, but during exhibitions we lay ourselves bare, because at the end in every work there is us, our character, our thoughts, there is a little piece of life that we are living, and unconsciously, but not too much, we want to show it and make it known to others, whether happiness or pain, sadness or madness, it is us on display not our works. And the greatest satisfaction is that I exhibit a bit ‘everywhere in Sardinia, in Cagliari, Sassari, La Maddalena, and in many other Sardinian towns, but also in the rest of Italy from north to south, with some presence abroad, such as Southampton, Lisbon and Budapest, something that I would never have imagined. As for the future, I have a few projects still in the embryonic stage, but I plan to put them in the pipeline as soon as possible, as soon as I find the necessary material, which is no small thing considering the size of the artwork. Obviously I’m not revealing anything yet because of superstition, one of my many faults.