Le interviste di Marta Lock: Stefano Paulon, l’affermazione nell’arte come risultato di un’evoluzione personale

di Marta Lock

Stefano Paulon
Stefano Paulon

Il cammino professionale dell’artista milanese è stato per molto tempo dedicato al disegno industriale, dunque legato al tecnicismo, allo schematismo di misure e materiali imprescindibili da ciò che poi solo in un secondo tempo veniva realizzato dalle aziende; non solo, la sua competenza si è ben presto ampliata conducendolo ad avvicinarsi al mondo dei complementi di arredo realizzando progetti e prototipi nel settore illuminotecnico e architettonico. In parallelo tuttavia ha compiuto una personale ricerca artistica in cui ha sperimentato inizialmente uno stile figurativo, in particolar modo prediligendo il disegno, poi però in un secondo tempo, lasciandosi probabilmente influenzare dalla schematicità del suo approccio professionale, si è spostato verso il Minimalismo in cui ha scelto di fondere anche le caratteristiche essenziali dell’Astrattismo Geometrico per narrare all’osservatore che anche all’interno del rigore possa nascondersi una morbidezza del sentire, del riflettere, del lasciarsi andare alle sensazioni. Appassionato collezionista di arte contemporanea, a un certo punto del suo cammino personale ha sentito il bisogno di spogliarsi della sua veste di designer per dedicarsi completamente a una sua propria sperimentazione artistica, per esplorare in maniera emozionale tutto ciò che in precedenza aveva costituito un punto di vista contemplativo, ma anche per unire le sue due anime, quella razionale e quella emozionale, provando così a superare il dualismo vissuto nella sua esperienza precedente durante la quale era stato costretto a separare i suoi due lati, quello tendente alla libertà creativa e quello invece più determinista in cui doveva attenersi a regole prestabilite. La divisione vissuta si ripercuote pertanto nelle sue opere che sembrano essere state concepite in silenzio, in quella fase intima che si generava non appena chiudeva la porta della giornata lavorativa alle sue spalle per connettersi con il pensiero, la riflessione, e probabilmente anche analizzando ciò verso cui la sua natura lo faceva tendere; l’alternanza di vuoti e pieni, di positivo e negativo, di luci e ombre che fuoriescono dalle sue opere geometriche sono testimonianza di uno sguardo profondo nei confronti della realtà circostante e della sua relatività. Il Minimalismo, la monocromia, la suggestione generata da un ordine solo apparente, incrementano dunque la ricerca di un equilibrio che è stata esattamente quella che lo ha spinto, a seguito della presa di coscienza della sua necessità di evoluzione personale e creativa, a trasformare la sua esistenza per plasmarla all’esigenza di dedicarsi esclusivamente all’arte. Il suo approccio intimista in grado di esortare silenziosamente l’osservatore a meditare su se stesso, sulle proprie fragilità, debolezze rassicurate dall’ordine e dall’apparente immobilità delle figure geometriche, costituisce quasi un guscio all’interno del quale rifugiarsi per essere in grado di comprendere l’importanza di una stabilità, di un equilibrio troppo spesso perduto in un mondo contemporaneo che corre veloce e rumoroso impedendo all’individuo di fare una pausa di introspezione verso se stesso.

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Anche la scelta della scala di grigi rappresenta un’ulteriore attenzione nei confronti di quelle alternanze, di quelle opportunità che si avvicendano in maniera quasi impercettibile avendo però un loro senso specifico, quello cioè di indurre il fruitore a dare un’interpretazione personale e individuale a un percorso che si dispiega e si compie nel momento della consapevolezza. Nelle opere a volte emerge la necessità di delimitazione degli spazi, altre la ripetitività, altre ancora la progressione delle figure che possono essere circolari o angolari, ma sempre funzionali all’istante che Stefano Paulon immortala, suggerendolo e quasi sussurrandolo per non influenzare attraverso il suo pensiero bensì lasciando l’opportunità di estrapolare dall’osservazione quello dell’individuo che si pone di fronte all’opera sulla base del proprio vissuto.

SP37025 Stefano Paulon
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Negli ultimi dieci anni ha esposto trasversalmente sia in situazioni istituzionali come musei o palazzi pubblici, sia in galleria, ricevendo consensi e attenzioni dagli addetti ai lavori e da parte dei collezionisti e ora ci svelerà di più del suo affascinante percorso.

Stefano, lei ha letteralmente trasformato la sua vita per seguire un’indole artistica e una ricerca personale e spirituale che è riuscita a manifestarsi attraverso le sue opere. Ci può spiegare quali sono stati i passaggi più importanti di questa decisione? C’è stato un fattore o un evento determinante?

Mi piace pensare che la passione per le arti figurative sia iniziata nell’estate del 1969, quando a sei anni disegnai una piccola struttura geometrica a quadretti colorati o quando in casa, qualche anno più tardi, scoprii e divorai nella lettura un manuale di pittura del Professor Carlo Ferrario; successivamente anche se in modo discontinuo, ho sperimentato fino alla metà degli anni ottanta diverse tecniche, con i corsi di disegno e pittura del Professor Gaspare de Fiore. Il mio percorso formativo è stato però essenzialmente tecnico, seguito da intense e stimolanti esperienze lavorative e professionali anche in ambito marketing commerciale, ma il desiderio e l’aspirazione personale mi hanno portato a spostare la mia preparazione verso un soggettivo studio della storia dell’arte e della letteratura che lentamente mi ha condotto a consolidare la mia sperimentazione artistica fino a decidere di farla diventare un percorso professionale. Le prime serie di lavori documentati interessano soprattutto il disegno al tratto, con diverse tecniche, dalla matita, alla penna a sfera, al pastello ad olio e abbracciano sia lo studio della figura umana, sia lo svolgimento di strutture geometriche complesse.

Come è cambiata la sua vita nel momento in cui ha scelto di dedicarsi completamente all’espressività artistica? E quanto invece ha conservato del suo passato professionale perché utile nella nuova esperienza del presente?

A metà degli anni novanta, parallelamente all’inizio del mio interesse al collezionismo di design e arte contemporanea, la mia attenzione si è spostata verso il progetto di complementi di arredo, lo sviluppo di visioni in ambito illuminotecnico e l’elaborazione di concept architettonici che realizzo per spazi pubblici e privati. Lo studio è sempre stato il mio ambiente congeniale; nei luoghi dove era possibile farlo mi ritagliavo uno spazio riservato che mi consentiva di ritirarmi a disegnare, scrivere, sperimentare e costruire. All’inizio degli anni duemila, il mio linguaggio espressivo è approdato al trattamento e alla modellazione delle superfici, alle composizioni tridimensionali, alle installazioni, al loro dialogo con l’ambiente.

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Il suo Astrattismo Geometrico si discosta dalle linee guida tradizionali del movimento, in cui si escludeva l’emozione e la soggettività; quanto è importante per lei recuperare il contatto con l’emozione, con la riflessione, nell’era contemporanea? Qual è il messaggio che desidera trapeli dalle sue opere?

Nella mia rielaborazione concettuale e formale ho pensato di accompagnare i lavori con degli scritti, delle riflessioni e, in alcuni casi, poesie. In generale questi testi li ho definiti, isometrie spirituali, ovvero sostanze equo-significanti dall’apparenza del prodotto artistico. Oggi dopo anni di esperienza e trasversalmente a diversi esercizi artistici, che comprendono pittura, scultura, disegno, oltre ovviamente alla poesia sento la necessità di indagare, attraverso lo studio delle superfici e della forma, l’ambiente, i suoi confini spaziali e gli equilibri armonici che li governano, maniacali prove di severità e rigore estetico. Dal punto di vista della realizzazione, dopo avere eseguito schizzi e disegni preparatori, seguiti da un’attenta progettazione che può avvalersi di moderne tecnologie informatiche e grafiche, mi piace controllare con le mani o attraverso semplici strumenti tutta la sequenza di operazioni che conducono all’esecuzione di un quadro, di una scultura o di un oggetto. Il procedimento è molto lento e contemplativo, i supporti sono realizzati con tavole di legno, cartone o altri materiali anche di recupero, mi piace riutilizzare, riadattando il materiale per un nuovo scopo; le superfici sono trattate con un composto a base acrilica, sabbia, gesso, calce o cemento che stendo in numerosi strati, successivamente e in alcune serie di lavori, completo con il pigmento mescolato alla cera naturale a caldo. La complessità non è quindi mai dovuta all’utilizzo di tecnologia, ma è data da una ripetizione gestuale o quantitativa delle stesse operazioni, i miei colori sono il bianco della neve o del talco, il grigio della nebbia o del fumo, il nero del carbone o dell’asfalto. Tendenzialmente parlo pochissimo dei miei lavori, lascio che siano loro a parlare per me, mi piacerebbe un giorno lasciarli soli, con una loro propria autonomia di movimento e linguaggio.

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Lei è un collezionista d’arte ormai da anni, dunque un profondo conoscitore della materia e sensibile all’estetica dell’atto creativo; quali sono i maestri che hanno ispirato la sua ricerca pittorica?

Per molti anni ho amato ritirarmi nella tranquillità del mio studio, la sera o nei fine settimana, a leggere e studiare i testi degli storici dell’arte Roberto Longhi e Adolfo Venturi o del critico letterario e filosofo Francesco De Sanctis e dell’artista e biblista Emilio Villa. Con la mia ricerca artistica ho sempre tentato di fare qualcosa che avesse una riconoscibilità universale; artisticamente, non posso negare che inizialmente l’opera di Piero della Francesca e del Beato Angelico siano stati assoluti riferimenti. Ho studiato successivamente il lavoro di Kasimir Malevich e di Giorgio Morandi e in generale sono sempre stato attratto da artisti contraddistinti da una sintesi vicina alla mia sensibilità.

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Solo recentemente ha cominciato a mostrare al pubblico, peraltro appassionato alle sue tele, il risultato del suo lavoro; ci racconta quali sono i suoi prossimi progetti? Dove potranno vedere le sue opere i lettori?Vorrei esporre in varie città d’Italia e d’Europa il progetto Rigore e Psiche, progetto espositivo elaborato e realizzato con il mio collega e amico Piero Campanini che ha già avuto un ottimo successo di pubblico a Como presso lo spazio espositivo The Art Company e al Museo di Arte Contemporanea Casa del Console di Calice Ligure. Poi ho in programma una mostra personale a novembre presso MADE4ART-Quartiere di Brera Milano e altri progetti come una collettiva a Madrid e una partecipazione fieristica a Parigi. All’inizio del 2019 è iniziata la raccolta, la configurazione e la catalogazione di tutta la documentazione e di tutto il materiale che costituisce il mio lavoro artistico. Tale impegno ha l’obiettivo, oltre alla futura creazione dello STEFANOPAULONARCHIVE, di favorire e avviare iniziative di carattere culturale indirizzate ad indagare la mia opera e la nascita di un Catalogo Ragionato.

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Marta Lock’s interviews:

Stefano Paulon, affirmation in art as the result of a personal evolution

For a long time, the Milanese artist’s professional path was dedicated to industrial design, hence linked to technicality, to the schematism of measurements and materials that were inseparable from what was thenonly later realised by companies; not only that, his expertise soon broadened, leading him to approach the world of furnishing accessories, realising projects and prototypes in the lighting and architectural sectors. At the same time, however, he carried out a personal artistic research in which he initially experimented with a figurative style, particularly favouring drawing, but later, probably influenced by the schematic nature of his professional approach, he moved towards Minimalism, in which he also chose to merge the essential characteristics of Geometric Abstractionism to tell the observer that even within rigour there can be a softness of feeling, of reflection, of letting oneself go to sensations. Passionate collector of contemporary art, at a certain point in his personal journey he felt the need to shed his designer’s garb to devote himself completely to his own artistic experimentation, to explore in an emotional way everything that had previously constituted a contemplative point of view, but also to unite his two souls, the rational and the emotional, thus attempting to overcome the dualism experienced in his previous experience during which he had been forced to separate his two sides, the one tending towards creative freedom and the more determinist one in which he had to abide by pre-established rules. The division he experienced is therefore reflected in his artworks, which seem to have been conceived in silence, in that intimate phase that was generated as soon as he closed the door of the working day behind him to connect with thought, reflection, and probably also analysing what his nature made him tend towards; the alternation of empty and full spaces, positive and negative, light and shadow that emerge from his geometric works are evidence of a profound gaze towards the surrounding reality and its relativity. Minimalism, monochromy, the suggestion generated by an order that is only apparent, thus increase the search for a balance that was exactly what drove him, following the realisation of his need for personal and creative evolution, to transform his existence in order to mould it to the need to dedicate himself exclusively to art. His intimist approach capable of silently exhorting the observer to meditate on himself, on his own frailties, weaknesses reassured by the order and apparent immobility of the geometric figures, constitutes almost a shell within which to take refuge in order to be able to understand the importance of a stability, of a balance too often lost in a contemporary world that runs fast and noisy, preventing the individual from taking a pause for introspection towards himself. Even the choice of greyscale represents a further attention towards those alternations, those opportunities that take turns almost imperceptibly but have their own specific meaning, that is, to induce the viewer to give a personal and individual interpretation to a path that unfolds and is fulfilled in the moment of awareness. In the artworks, sometimes emerges the need to delimit spaces, others the repetitiveness, and still others the progression of figures that may be circular or angular, but always functional to the instant that Stefano Paulon immortalises, suggesting it and almost whispering it so as not to influence through his thought but rather leaving the opportunity to extrapolate from the observation that of the individual who stands in front of the work on the basis of his own experience. Over the past ten years, he has exhibited his artworks both in institutional situations such as museums or public buildings, and in galleries, receiving acclaim and attention from insiders and collectors, and he will now reveal more of his fascinating journey.

Stefano, you have literally transformed your life to follow an artistic nature and a personal and spiritual quest that has managed to manifest itself through your artworks. Can you explain what were the most important steps in this decision? Was there a determining factor or event?

I like to think that my passion for the figurative arts began in the summer of 1969, when I drew a small geometric structure with coloured squares when I was six years old, or when I discovered and devoured a painting manual by Professor Carlo Ferrario at home a few years later. Subsequently, albeit discontinuously, I experimented with different techniques until the mid-1980s, with Professor Gaspare de Fiore’s drawing and painting courses. My training, however, was essentially technical, followed by intense and stimulating work and professional experiences also in the field of commercial marketing, but my desire and personal aspiration led me to shift my training towards a subjective study of the history of art and literature, which slowly led me to consolidate my artistic experimentation until I decided to turn it into a professional career. The first series of documented works mainly involve line drawing, with different techniques, from pencil, to biros, to oil pastel, and embrace both the study of the human figure and the unfolding of complex geometric structures.

How did your life change when you chose to devote yourself completely to artistic expression? And how much of your professional past have you retained to be useful in the new experience of the present?

In the mid-1990s, in parallel with the beginning of my interest in collecting design and contemporary art, my focus shifted towards designing furniture accessories, developing visions in the field of lighting technology, and elaborating architectural concepts that I realise for public and private spaces. The studio has always been my congenial environment; in places where it was possible to do so, I would carve out a reserved space that allowed me to retreat to drawing, writing, experimenting and building. In the early 2000s, my expressive language moved on to the treatment and modelling of surfaces, three-dimensional compositions, installations, and their dialogue with the environment.

Your Geometric Abstractionism departs from the traditional guidelines of the movement, in which emotion and subjectivity were excluded; how important is it for you to recover contact with emotion, with reflection, in the contemporary era? What is the message you want to get across in your artworks?

In my conceptual and formal reworking, I thought of accompanying the artworks with writings, reflections and, in some cases, poems. In general, I have called these texts, spiritual isometries, i.e. equivocal substances from the appearance of the artistic product. Today, after years of experience and transversal to different artistic exercises, which include painting, sculpture, drawing, as well as poetry of course, I feel the need to investigate, through the study of surfaces and form, the environment, its spatial boundaries and the harmonic balances that govern them, maniacal tests of severity and aesthetic rigour. From the point of view of realisation, after making sketches and preparatory drawings, followed by careful planning that can make use of modern computer and graphic technologies, I like to control with my hands or through simple tools the entire sequence of operations that lead to the execution of a painting, sculpture or object.

The process is very slow and contemplative, the supports are made from planks of wood, cardboard or other materials, even recycled ones, I like to reuse, readjusting the material for a new purpose; the surfaces are treated with an acrylic, sand, plaster, lime or cement-based compound that I spread in numerous layers, afterwards and in some series of works, I complete with pigment mixed with hot natural wax. The complexity is therefore never due to the use of technology, but is given by a gestural or quantitative repetition of the same operations, my colours are the white of snow or talc, the grey of fog or smoke, the black of coal or asphalt. I tend to speak very little about my artworks, I let them speak for me, I would like one day to leave them alone, with their own autonomy of movement and language.

You have been an art collector for years, therefore a profound connoisseur of the material and sensitive to the aesthetics of the creative act; which masters have inspired your pictorial research?

For many years, I loved to retreat to the tranquillity of my studio, in the evenings or at weekends, to read and study the texts of the art historians Roberto Longhi and Adolfo Venturi or the literary critic and philosopher Francesco De Sanctis and the artist and biblical scholar Emilio Villa.

With my artistic research I have always tried to do something that had a universal recognisability; artistically, I cannot deny that initially the work of Piero della Francesca and Beato Angelico were absolute references. I later studied the work of Kasimir Malevich and Giorgio Morandi, and in general I have always been attracted to artists characterised by a synthesis close to my sensibility.

Only recently have you begun to show the public, who are also passionate about your canvases, the result of your work; can you tell us what are your next projects? Where will readers be able to see your artworks?

I would like to exhibit in various cities in Italy and Europe the Rigour and Psyche project, an exhibition project developed and realised with my colleague and friend Piero Campanini that has already been very well received by the public in Como at The Art Company exhibition space and at the Casa del Console Museum of Contemporary Art in Calice Ligure. Then I am planning a solo exhibition in November at MADE4ART-Quartiere di Brera Milan and other projects such as a group show in Madrid and a fair participation in Paris. At the beginning of 2019 starte the collection, configuration and cataloguing of all the documentation and material that constitutes my artistic work. This commitment aims, in addition to the future creation of the STEFANOPAULONARCHIVE, to encourage and launch cultural initiatives aimed at investigating my work and the birth of a Reasoned Catalogue.